Coronavirus COVID-19: interrogativi e ipotesi
Faccio una doverosa premessa: non ho una formazione di tipo medico, non sono un biologo, né tanto meno un genetista o un esperto di bioingegneria.
C'è una domanda che sorge spontanea, soprattutto in relazione alla situazione italiana, ed è la seguente: come mai questo virus non si è diffuso maggiormente nei luoghi dove ci sono maggiori concentrazioni di persone, ovvero metropoli, grandi città, e principali mete turistiche?
L'infezione da COVID-19 sembra comportarsi come se si trattasse di un avvelenamento da sostanze tossiche o radiazioni: più ci si allontana dai focolai meno sembra pericoloso.
Io vedo tre possibili spiegazioni razionali anche se solo parziali a questo tipo di comportamento:
Ipotesi A: il virus perde forza nel passaggio da un essere umano all'altro. Quindi gli infettati di prima generazione sono/erano molto più contagiosi di quelli di seconda generazione e così via.
Ipotesi B: la contagiosità del COVID-19 è molto maggiore in alcune fasi della malattia, corrispondenti più o meno al manifestarsi della polmonite e di forti disturbi respiratori. Ora che si conosce l'esistenza di questo pericolo si pone molta più attenzione di prima a chi ha sintomi influenzali, tosse etc e tali pazienti vengono messi in isolamento.
Bisogna inoltre tener presente che la polmonite è la prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi occidentali; in Italia, ogni anno provoca la morte di circa 11.000 persone soprattutto anziani.
Questo spiegherebbe in parte anche i tanti casi di contagio ospedaliero
L'ipotesi B viene in certo qual modo rafforzata dalla lettura di questa intervista al primario del Pronto Soccorso dell'Opsedale di Codogno, articolo pubblicato in data 04/03 su repubblica.it: Cosi abbiamo scovato il virus. ora tre giorni per la verità
Ipotesi C: la maggior parte delle persone "positive" asintomatiche o con sintomi minori sono molto poco contagiose. Sono necessari ripetuti contatti ravvicinati con queste persone perché l'infezione si possa trasmettere. Esisterebbero invece dei soggetti capaci di trasmettere con estrema facilità il virus: per particolari concause ancora da determinare questi "untori" sono in grado di contaminare da soli una intera comunità (in maniera ovviamente inconsapevole)
Le tre precedenti ipotesi potrebbero giustificare la mancanza di focolai nelle metropoli però solo in abbinamento ad una veramente notevole dose di fortuna. Quante persone della zona rossa lombarda hanno potrebbero aver preso, ad esempio, un mezzo pubblico a Milano? E di conseguenza come mai ci sono solo poco più di 50 casi nella metropoli lombarda (per altro quasi tutti contagiatisi nella zona rossa)?
Cosa potrebbe aver tenuto lontano dalle metropoli europee il COVID-19?
Se escludiamo il puzzo di ascelle che giustamente il virus potrebbe non gradire, l'unico fattore che riesco ad individuare, comune alle grandi città, è l'inquinamento, in particolare quello da polveri sottili. Una alta concentrazione di PM2.5 potrebbe forse interferire con i meccanismi riproduttivi del virus e limitarne la concentrazione, in particolare in quei soggetti che ho chiamato "untori".
Sarà quindi una bella boccata di PM2.5 a sconfiggere questo nuovo coronavirus?
C'è una domanda che sorge spontanea, soprattutto in relazione alla situazione italiana, ed è la seguente: come mai questo virus non si è diffuso maggiormente nei luoghi dove ci sono maggiori concentrazioni di persone, ovvero metropoli, grandi città, e principali mete turistiche?
L'infezione da COVID-19 sembra comportarsi come se si trattasse di un avvelenamento da sostanze tossiche o radiazioni: più ci si allontana dai focolai meno sembra pericoloso.
Io vedo tre possibili spiegazioni razionali anche se solo parziali a questo tipo di comportamento:
Ipotesi A: il virus perde forza nel passaggio da un essere umano all'altro. Quindi gli infettati di prima generazione sono/erano molto più contagiosi di quelli di seconda generazione e così via.
Ipotesi B: la contagiosità del COVID-19 è molto maggiore in alcune fasi della malattia, corrispondenti più o meno al manifestarsi della polmonite e di forti disturbi respiratori. Ora che si conosce l'esistenza di questo pericolo si pone molta più attenzione di prima a chi ha sintomi influenzali, tosse etc e tali pazienti vengono messi in isolamento.
Bisogna inoltre tener presente che la polmonite è la prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi occidentali; in Italia, ogni anno provoca la morte di circa 11.000 persone soprattutto anziani.
Questo spiegherebbe in parte anche i tanti casi di contagio ospedaliero
L'ipotesi B viene in certo qual modo rafforzata dalla lettura di questa intervista al primario del Pronto Soccorso dell'Opsedale di Codogno, articolo pubblicato in data 04/03 su repubblica.it: Cosi abbiamo scovato il virus. ora tre giorni per la verità
Ipotesi C: la maggior parte delle persone "positive" asintomatiche o con sintomi minori sono molto poco contagiose. Sono necessari ripetuti contatti ravvicinati con queste persone perché l'infezione si possa trasmettere. Esisterebbero invece dei soggetti capaci di trasmettere con estrema facilità il virus: per particolari concause ancora da determinare questi "untori" sono in grado di contaminare da soli una intera comunità (in maniera ovviamente inconsapevole)
Le tre precedenti ipotesi potrebbero giustificare la mancanza di focolai nelle metropoli però solo in abbinamento ad una veramente notevole dose di fortuna. Quante persone della zona rossa lombarda hanno potrebbero aver preso, ad esempio, un mezzo pubblico a Milano? E di conseguenza come mai ci sono solo poco più di 50 casi nella metropoli lombarda (per altro quasi tutti contagiatisi nella zona rossa)?
Cosa potrebbe aver tenuto lontano dalle metropoli europee il COVID-19?
Se escludiamo il puzzo di ascelle che giustamente il virus potrebbe non gradire, l'unico fattore che riesco ad individuare, comune alle grandi città, è l'inquinamento, in particolare quello da polveri sottili. Una alta concentrazione di PM2.5 potrebbe forse interferire con i meccanismi riproduttivi del virus e limitarne la concentrazione, in particolare in quei soggetti che ho chiamato "untori".
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