Condanna definitiva a 14 mesi per Sallusti



E' di poche ora fa la notizia della condanna definitiva del giornalista Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, a 14 mesi di reclusione, per una vicenda accaduta nel 2007 quando era direttore di Libero.

A me personalmente Sallusti non mi è mai stato molto simpatico, anzi, ma la sua condanna non mi rallegra affatto: trovo un fatto gravissimo che un giornalista possa essere condannato ad una pena detentiva per una vicenda la cui gravità mi sfugge. Ho provato invano a rintracciare l'articolo originale, ma senza successo per cui riporto sotto una parte di un articolo da il Giornale, in quanto uno dei più completi.




Dal giornale.it:
Nel febbraio 2007, sul quotidiano torinese La Stampa viene pubblicato un articolo che nel giro di poche ore rinfocola le polemiche mai sopite intorno alla legge sull'aborto.
È la storia di una ragazzina di 13 anni, rimasta incinta e autorizzata ad abortire dal tribunale di Torino: ma, dopo la interruzione forzata della gravidanza, preda di scompensi emotivi talmente pesanti da portarla al ricovero in un reparto di psichiatria.
Parte immediata la polemica, da una parte chi difende la scelta dei giudici e degli assistenti sociali, dall'altra la Chiesa e il fronte antiaborto si indignano: chi ha permesso a una bambina di abortire senza esplorare altre strade? La notizia rimbalza sulle agenzie di stampa, e l'indomani su diversi giornali. Compreso Libero, allora diretto da Sallusti.
Alla vicenda, il quotidiano dedica un articolo firmato dal cronista Andrea Monticone, che racconta senza fronzoli la vicenda, e un corsivo pesantemente critico firmato con lo pseudonimo di “Dreyfus”:

«Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice».

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"Ho appena annunciato ai miei giornalisti che stasera mi dimetto".
Ha dichiarato Alessandro Sallusti in una intervista a Pomeriggio 5 dopo la conferma in Cassazione della sua condanna.

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